Fin dagli anni ’50 cemento, mattone e asfalto hanno costituito la spina dorsale dell’economia italiana, tanto che secondo un recente rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) negli ultimi 25 anni nel nostro paese il consumo di suolo ha raggiunto livelli insostenibili: se ne perdono 8 metri quadrati per ogni secondo che passa, l’equivalente di 100 campi da calcio al giorno. Una situazione di graduale perdita irreversibile di una risorsa naturale che rende sempre più precario l’equilibrio idrogeologico del nostro territorio; come ha focalizzato bene l’ISPRA l’attenzione non soltanto è sulla quantità di suolo consumato ma soprattutto sulla qualità: sempre più spesso infatti si costruisce in aree a rischio idrogeologico, oppure su terreni fertili e produttivi. L’estensione dei terreni agricoli coltivati è infatti in costante diminuzione: invasa dai boschi, a causa dell’incuria (soprattutto nelle zone montano-collinari), oppure sacrificata per la realizzazione di infrastrutture, servizi, unità abitative, produttive, turistiche o ricreative (soprattutto nelle aree pianeggianti).
Le ragioni per cui si è raggiunto
questo livello insostenibile sono molteplici e toccano molti aspetti
che sono interconnessi, così come sono interconnessi gli ambiti su
cui il consumo di suolo finisce per impattare.
Economia: la bolla del mattone è
scoppiata da tempo, le nuove infrastrutture con cui si cerca di tener
in vita la filiera ormai si reggono su piani finanziari a dir poco
azzardati. “Evolvi o muori”. Occorre quindi cambiare paradigma di
sviluppo, riconvertendo completamente la filiera dell’edilizia e
delle infrastrutture verso obiettivi virtuosi come recupero,
adeguamento ed efficientamento dell’esistente.
Ambiente e paesaggio: è già stato
costruito praticamente ovunque, pertanto la lobby del cemento cerca
di espandersi anche nelle aree che fino ad oggi erano state tutelate
per motivi ambientali, architettonici, o paesaggistici.
Produzione alimentare: vogliamo
mangiare prodotti italiani e guardiamo con sospetto i generi
alimentari importati dall’estero, ma poi permettiamo che le nostre
pianure più fertili vengano edificate o espropriate per costruire
infrastrutture. Questa idiosincrasia pone la società e la politica
davanti ad una scelta e ad azioni coerenti: come impieghiamo il suolo
per fare economia e PIL? Vogliamo un modello in cui il terreno venga
coltivato per trarne alimenti oppure inseguiamo un modello in cui si
trae profitto dal consumo del suolo? Nel secondo caso occorre
rinunciare ad una parte di sovranità alimentare e vincolarsi alle
importazioni. Proprio in un momento storico in cui intere nazioni
investono in terreni agricoli all’estero (fenomeno del “land
grabbing”), noi distruggiamo i nostri terreni agricoli.
Riscaldamento globale: è dimostrato
che il consumo di suolo e l’espansione del tessuto urbano
determinano un riscaldamento degli ambienti urbani, che hanno un peso
non trascurabile sul processo in atto del riscaldamento globale.
Dissesto idrogeologico: in una penisola
geologicamente giovane come la nostra, in cui le dinamiche naturali
dei versanti e dei corsi d’acqua si contendono gli spazi fisici con
gli insediamenti umani, le aree sicure sono già state edificate
molto tempo fa. Adesso rimangono da edificare quasi esclusivamente
aree a rischio. Ma anche se si costruisce in aree sicure, si generano
effetti negativi anche a grandi distanze. Innanzitutto,
l’impermeabilizzazione del suolo impedisce al terreno di fare da
“spugna” ed assorbire la pioggia. Inoltre, quantità sempre
maggiori di pioggia vengono convogliate in tempi rapidissimi dentro i
corsi d’acqua. Questi due elementi causano la concentrazione delle
portate di piane ed un notevole aumento del rischio idraulico, anche
in zone molto distanti dai terreni edificati.
La politica italiana non riesce a
cogliere tutti questi collegamenti. Oltre a pensare solo agli effetti
immediati e ad ignorare quelli a medio o lungo termine (dove medio
significa “oltre il termine di questo mandato o incarico”), pensa
e concepisce il nostro Paese a settori, anzi, a compartimenti stagni.
Magari lottizzati da gruppi diversi che hanno obiettivi e linee
politiche diverse. Con queste premesse, quando si discute su leggi di
ampio respiro è molto improbabile trovare una quadra soddisfacente.
E, per chi fosse interessato, dai miei canali fornisco il mio punto di vista.
http://www.samuelesegoni.it/
https://twitter.com/samuelesegoni
https://www.facebook.com/pages/Samuele-Segoni/261662110636931?ref=hl
Non fa eccezione il disegno di legge
per il contenimento del consumo di suolo, il riuso del suolo
edificato e la tutela del suolo agricolo, in discussione presso le
Commissioni Ambiente ed Agricoltura della Camera dei Deputati. Un
disegno di legge che ha un intento lodevole, purtroppo vanificato da
un cronoprogramma molto blando (non è scontato che venga approvato
entro la fine della legislatura) e da una serie di scappatoie,
eccezioni, deroghe e distinguo presenti all’interno dell’attuale
testo, che lo depotenziano e rischiano di renderlo inefficace.
Nell’ambito del mio mandato parlamentare, e della linea politica
della componente di Alternativa Libera che rappresento su questi
temi, ho presentato circa quaranta proposte emendative. Tra di esse,
cercherò in particolare di far approvare le seguenti proposte, che
reputo prioritarie e di potenziale interesse anche per la comunità
tecnico-scientifica:
1) la “misurazione" del consumo
di suolo in termini lordi e non al netto delle opere di
compensazione. È mia convinzione che la legge dovrebbe “misurare”
il consumo di suolo in termini assoluti (ovvero lordi): se edifico
100 metri quadrati in un campo, ho consumato 100 metri quadrati. Il
testo attuale invece parla di consumo di suolo netto, ovvero al netto
di opere di compensazione: se edifico 100 ma altrove nello stesso
comune faccio interventi compensativi (ad esempio in un parcheggio
sostituisco 100 metri quadri di asfalto con autobloccanti), il
consumo di suolo netto potrebbe essere zero. Devo usare il
condizionale perché ancora non è chiaro su che basi vengano
“pesate” le compensazioni e le mitigazioni previste.
2) Il consumo del suolo a "zero"
entro il 2020. Il consumo del suolo, soprattutto se espresso in
termini netti e se permangono tutte le eccezioni previste nella
norma, deve secondo me tendere a zero molto prima dei limiti
suggeriti dall’UE (cioè 2050, che è un termine politichese per
dire “mai”). Ho proposto il 2020. Questo non è un blocco
all’edilizia perché sarebbero sempre possibili riconversioni,
recuperi, e anche nuove costruzioni/opere se compensate e mitigate
come detto al punto precedente.
3) I limiti del consumo di suolo anche
per le opere d’interesse strategico nazionale, ora escluse.
Soprattutto se permane l’impostazione del consumo di suolo netto, i
limiti del consumo di suolo devono valere anche per le opere di
interesse strategico nazionale, attualmente escluse (altrimenti tra
aeroporti, interporti, strade, grandi opere ed altre infrastrutture
strategiche qualsiasi pianificazione verrebbe facilmente aggirata).
4) le opere compensative precedenti o
contestuali agli interventi. Chiediamo che le opere compensative
siano precedenti o almeno contestuali agli interventi che consumano
suolo (vorremmo evitare casi in cui si costruisce ma nessuno compie
la compensazione, ad esempio a causa del fallimento della ditta).
5) Introduzione di un “certificato di
sicurezza” per il rilascio di nuovi permessi a costruire e
disincentivare la costruzione in aree a rischio. Chi vuole costruire
dovrà prima asseverare l’esposizione a rischi idrogeologici
tramite una perizia che poi dovrà essere allegata ad ogni futuro
atto di compravendita o locazione. Questa proposta intende
disincentivare la costruzione in aree a rischio, responsabilizzare
costruttori ed acquirenti e diffondere un’adeguata cultura del
rischio tra la popolazione. Non deve più succedere che un
imprenditore alluvionato si lamenti che non sapeva di avere il
capannone in area esondabile: lui magari non sa leggere una carta di
pericolosità o del rischio, ma il mondo tecnico-scientifico ha
mappato praticamente tutta Italia e la conoscenza, se non viene
trasmessa alla popolazione, non serve a molto.
6) Agevolazioni fiscali e burocratiche
per l’impiego del territorio con agricoltura, silvicoltura e
pastorizia. Puntiamo a rendere prioritario e ad agevolare l’impiego
del territorio con agricoltura, silvicoltura e pastorizia, tramite
accorgimenti dal punto di vista sia fiscale che burocratico.
Soprattutto, agevoliamo il recupero di terreni incolti e difendiamo
il terreno agricolo da speculazioni edilizie o commerciali. Questo
genera inoltre evidenti ricadute positive anche dal punto di vista
della mitigazione del rischio idrogeologico (anche a valle), che
trarrà giovamento da una maggiore cura dei terreni montano-collinari
oggi abbandonati o mal gestiti.
7) Incentivi per gli interventi di
rinaturalizzazione e del recupero del patrimonio edilizio esistente.
Per accelerare la transizione da un modello economico agonizzante ad
un modello più sostenibile (da tutti i punti di vista).
8) Incentivi per il cambio d’uso di
terreni da suolo edificabile ad agricolo (con vincolo di almeno 5
anni). Abbiamo proposto che un privato possa automaticamente far
passare un proprio terreno da edificabile ad agricolo (con vincolo
per almeno 5 anni). Questo comporta un abbassamento della tassazione,
un piccolo incentivo all’agricoltura ed una “difesa” del
terreno agricolo dall’avanzata del tessuto urbano.
9) Dati del monitoraggio sul consumo di
suolo resi pubblici, aperti, facilmente comprensibili a qualsiasi
cittadino e disaggregati a scala comunale. Punto, tra l’altro, a
poter far emergere chiaramente che i principali disastri
idrogeologici degli ultimi anni si sono verificato dove si è
costruito troppo e male.
Come detto, i lavori procedono a
rilento, l’iter può essere seguito anche sul sito della Camera
E, per chi fosse interessato, dai miei canali fornisco il mio punto di vista.
http://www.samuelesegoni.it/
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