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Stop al Consumo di Suolo: 9 proposte

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Samuele Segoni, Onorevole, geologo

Fin dagli anni ’50 cemento, mattone e asfalto hanno costituito la spina dorsale dell’economia italiana, tanto che secondo un recente rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) negli ultimi 25 anni nel nostro paese il consumo di suolo ha raggiunto livelli insostenibili: se ne perdono 8 metri quadrati per ogni secondo che passa, l’equivalente di 100 campi da calcio al giorno. Una situazione di graduale perdita irreversibile di una risorsa naturale che rende sempre più precario l’equilibrio idrogeologico del nostro territorio; come ha focalizzato bene l’ISPRA l’attenzione non soltanto è sulla quantità di suolo consumato ma soprattutto sulla qualità: sempre più spesso infatti si costruisce in aree a rischio idrogeologico, oppure su terreni fertili e produttivi. L’estensione dei terreni agricoli coltivati è infatti in costante diminuzione: invasa dai boschi, a causa dell’incuria (soprattutto nelle zone montano-collinari), oppure sacrificata per la realizzazione di infrastrutture, servizi, unità abitative, produttive, turistiche o ricreative (soprattutto nelle aree pianeggianti).
Le ragioni per cui si è raggiunto questo livello insostenibile sono molteplici e toccano molti aspetti che sono interconnessi, così come sono interconnessi gli ambiti su cui il consumo di suolo finisce per impattare.

Economia: la bolla del mattone è scoppiata da tempo, le nuove infrastrutture con cui si cerca di tener in vita la filiera ormai si reggono su piani finanziari a dir poco azzardati. “Evolvi o muori”. Occorre quindi cambiare paradigma di sviluppo, riconvertendo completamente la filiera dell’edilizia e delle infrastrutture verso obiettivi virtuosi come recupero, adeguamento ed efficientamento dell’esistente.
Ambiente e paesaggio: è già stato costruito praticamente ovunque, pertanto la lobby del cemento cerca di espandersi anche nelle aree che fino ad oggi erano state tutelate per motivi ambientali, architettonici, o paesaggistici. 

Produzione alimentare: vogliamo mangiare prodotti italiani e guardiamo con sospetto i generi alimentari importati dall’estero, ma poi permettiamo che le nostre pianure più fertili vengano edificate o espropriate per costruire infrastrutture. Questa idiosincrasia pone la società e la politica davanti ad una scelta e ad azioni coerenti: come impieghiamo il suolo per fare economia e PIL? Vogliamo un modello in cui il terreno venga coltivato per trarne alimenti oppure inseguiamo un modello in cui si trae profitto dal consumo del suolo? Nel secondo caso occorre rinunciare ad una parte di sovranità alimentare e vincolarsi alle importazioni. Proprio in un momento storico in cui intere nazioni investono in terreni agricoli all’estero (fenomeno del “land grabbing”), noi distruggiamo i nostri terreni agricoli.
Riscaldamento globale: è dimostrato che il consumo di suolo e l’espansione del tessuto urbano determinano un riscaldamento degli ambienti urbani, che hanno un peso non trascurabile sul processo in atto del riscaldamento globale.
Dissesto idrogeologico: in una penisola geologicamente giovane come la nostra, in cui le dinamiche naturali dei versanti e dei corsi d’acqua si contendono gli spazi fisici con gli insediamenti umani, le aree sicure sono già state edificate molto tempo fa. Adesso rimangono da edificare quasi esclusivamente aree a rischio. Ma anche se si costruisce in aree sicure, si generano effetti negativi anche a grandi distanze. Innanzitutto, l’impermeabilizzazione del suolo impedisce al terreno di fare da “spugna” ed assorbire la pioggia. Inoltre, quantità sempre maggiori di pioggia vengono convogliate in tempi rapidissimi dentro i corsi d’acqua. Questi due elementi causano la concentrazione delle portate di piane ed un notevole aumento del rischio idraulico, anche in zone molto distanti dai terreni edificati.
La politica italiana non riesce a cogliere tutti questi collegamenti. Oltre a pensare solo agli effetti immediati e ad ignorare quelli a medio o lungo termine (dove medio significa “oltre il termine di questo mandato o incarico”), pensa e concepisce il nostro Paese a settori, anzi, a compartimenti stagni. Magari lottizzati da gruppi diversi che hanno obiettivi e linee politiche diverse. Con queste premesse, quando si discute su leggi di ampio respiro è molto improbabile trovare una quadra soddisfacente.

Non fa eccezione il disegno di legge per il contenimento del consumo di suolo, il riuso del suolo edificato e la tutela del suolo agricolo, in discussione presso le Commissioni Ambiente ed Agricoltura della Camera dei Deputati. Un disegno di legge che ha un intento lodevole, purtroppo vanificato da un cronoprogramma molto blando (non è scontato che venga approvato entro la fine della legislatura) e da una serie di scappatoie, eccezioni, deroghe e distinguo presenti all’interno dell’attuale testo, che lo depotenziano e rischiano di renderlo inefficace. Nell’ambito del mio mandato parlamentare, e della linea politica della componente di Alternativa Libera che rappresento su questi temi, ho presentato circa quaranta proposte emendative. Tra di esse, cercherò in particolare di far approvare le seguenti proposte, che reputo prioritarie e di potenziale interesse anche per la comunità tecnico-scientifica:

1) la “misurazione" del consumo di suolo in termini lordi e non al netto delle opere di compensazione. È mia convinzione che la legge dovrebbe “misurare” il consumo di suolo in termini assoluti (ovvero lordi): se edifico 100 metri quadrati in un campo, ho consumato 100 metri quadrati. Il testo attuale invece parla di consumo di suolo netto, ovvero al netto di opere di compensazione: se edifico 100 ma altrove nello stesso comune faccio interventi compensativi (ad esempio in un parcheggio sostituisco 100 metri quadri di asfalto con autobloccanti), il consumo di suolo netto potrebbe essere zero. Devo usare il condizionale perché ancora non è chiaro su che basi vengano “pesate” le compensazioni e le mitigazioni previste.
2) Il consumo del suolo a "zero" entro il 2020. Il consumo del suolo, soprattutto se espresso in termini netti e se permangono tutte le eccezioni previste nella norma, deve secondo me tendere a zero molto prima dei limiti suggeriti dall’UE (cioè 2050, che è un termine politichese per dire “mai”). Ho proposto il 2020. Questo non è un blocco all’edilizia perché sarebbero sempre possibili riconversioni, recuperi, e anche nuove costruzioni/opere se compensate e mitigate come detto al punto precedente.
3) I limiti del consumo di suolo anche per le opere d’interesse strategico nazionale, ora escluse. Soprattutto se permane l’impostazione del consumo di suolo netto, i limiti del consumo di suolo devono valere anche per le opere di interesse strategico nazionale, attualmente escluse (altrimenti tra aeroporti, interporti, strade, grandi opere ed altre infrastrutture strategiche qualsiasi pianificazione verrebbe facilmente aggirata).
4) le opere compensative precedenti o contestuali agli interventi. Chiediamo che le opere compensative siano precedenti o almeno contestuali agli interventi che consumano suolo (vorremmo evitare casi in cui si costruisce ma nessuno compie la compensazione, ad esempio a causa del fallimento della ditta).
5) Introduzione di un “certificato di sicurezza” per il rilascio di nuovi permessi a costruire e disincentivare la costruzione in aree a rischio. Chi vuole costruire dovrà prima asseverare l’esposizione a rischi idrogeologici tramite una perizia che poi dovrà essere allegata ad ogni futuro atto di compravendita o locazione. Questa proposta intende disincentivare la costruzione in aree a rischio, responsabilizzare costruttori ed acquirenti e diffondere un’adeguata cultura del rischio tra la popolazione. Non deve più succedere che un imprenditore alluvionato si lamenti che non sapeva di avere il capannone in area esondabile: lui magari non sa leggere una carta di pericolosità o del rischio, ma il mondo tecnico-scientifico ha mappato praticamente tutta Italia e la conoscenza, se non viene trasmessa alla popolazione, non serve a molto.
6) Agevolazioni fiscali e burocratiche per l’impiego del territorio con agricoltura, silvicoltura e pastorizia. Puntiamo a rendere prioritario e ad agevolare l’impiego del territorio con agricoltura, silvicoltura e pastorizia, tramite accorgimenti dal punto di vista sia fiscale che burocratico. Soprattutto, agevoliamo il recupero di terreni incolti e difendiamo il terreno agricolo da speculazioni edilizie o commerciali. Questo genera inoltre evidenti ricadute positive anche dal punto di vista della mitigazione del rischio idrogeologico (anche a valle), che trarrà giovamento da una maggiore cura dei terreni montano-collinari oggi abbandonati o mal gestiti.
7) Incentivi per gli interventi di rinaturalizzazione e del recupero del patrimonio edilizio esistente. Per accelerare la transizione da un modello economico agonizzante ad un modello più sostenibile (da tutti i punti di vista).
8) Incentivi per il cambio d’uso di terreni da suolo edificabile ad agricolo (con vincolo di almeno 5 anni). Abbiamo proposto che un privato possa automaticamente far passare un proprio terreno da edificabile ad agricolo (con vincolo per almeno 5 anni). Questo comporta un abbassamento della tassazione, un piccolo incentivo all’agricoltura ed una “difesa” del terreno agricolo dall’avanzata del tessuto urbano.
9) Dati del monitoraggio sul consumo di suolo resi pubblici, aperti, facilmente comprensibili a qualsiasi cittadino e disaggregati a scala comunale. Punto, tra l’altro, a poter far emergere chiaramente che i principali disastri idrogeologici degli ultimi anni si sono verificato dove si è costruito troppo e male.

Come detto, i lavori procedono a rilento, l’iter può essere seguito anche sul sito della Camera

E, per chi fosse interessato, dai miei canali fornisco il mio punto di vista.
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