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Chi per primo ha pensato che si potesse utilizzare la biodiversità proveniente da ambienti diversi dal proprio?
Se ci limitiamo a un approccio scientifico e moderno la maggior parte della gente direbbe Nikolaj Vavilov (1897 – 1943), lo scienziato russo che possiamo considerare il padre dell’agro-biodiversità e “inventore” delle banche dei semi.
Qualcuno però ricorderà che gli inglesi già nel XVIII secolo avevano avviato un programma di utilizzazione della biodiversità trovata nelle colonie. Il film “Gli ammutinati del Bounty” del 1962 racconta la storia del viaggio dell’HMS Bounty che nel 1789 portava piante dell’albero del pane in Inghilterra, con l’intento di provare a svilupparne la coltivazione in patria. Il capitano William Bligh emise strette regole per l’uso dell’acqua, preferendo usarla per le piante a costo di assetare l’equipaggio. Il suo secondo, Fletcher Christian, in quel film interpretato da un giovane Marlon Brando, capeggiò un ammutinamento contro quell’inumano comportamento e le piante non giunsero mai in Inghilterra.
Ma quasi nessuno sa che la prima spedizione organizzata per raccogliere biodiversità aliena, ovvero non nativa del proprio territorio, fu quella messa in atto circa 35 secoli or sono dalla regina egiziana Hatshepsut (ca. 1507 a.C – ca. 1458 a.C.). Una flotta di 5 navi lunghe 70 piedi (circa 25 metri) si diresse a Punt, località attualmente sconosciuta e da molti ritenuta essere sulla costa somala, e da altri sulle coste dell’attuale Oman. La spedizione riportò molti tesori fra cui alberi d'incenso che vennero piantati in possedimenti della regina. Gli alberi non attecchirono, ma la storia, raccontata dai rilievi del tempio funerario di Deir el-Bahari, ci dice che il tentativo di usare biodiversità “esotica” era un concetto già formulato e maturo allora.


Gli egizi usavano l’incenso, la preziosa resina essudata dal tronco dell’albero Boswellia sacra,  nella preparazione dei corpi dei defunti, forse per le sue proprietà antisettiche. Ma l’uso davvero religioso di questa resina si deve agli Ebrei. L‘offerta dell'incenso faceva parte della liturgia ebraica sacerdotale in essere presso il Tempio di Gerusalemme. Si ritiene che oltre all’offerta aromatica, il fumo che sale verso l’alto possa essere stato preso a simbolo dell’ascesa della preghiera verso il cielo, veicolo quindi delle preghiere al Signore. Insomma, una specie di taxi per preghiere.
Questa usanza è poi stata mutuata nelle religioni cristiane e nella liturgia cattolica in particolare. Chi ha avuto occasione di viaggiare a Santiago de Compostela ha forse assistito al rito del Botafumeiro, l’incensiere gigante del peso di circa un quintale che pendola dal soffitto della cattedrale a sfiorare le teste dei fedeli mentre viene fatto oscillare dai Tiraboleiros. Megalomania? No probabilmente tanto fumo aromatico era necessario ai tempi dei pellegrinaggi medievali, quando i penitenti del Camino de Santjago non giungevano in chiesa olezzanti di violetta.


Sempre tanti anni or sono, diciamo oltre 30 secoli (il periodo non è certo), un tale di nome Mosè guidava gli Ebrei fuori dall’Egitto del Faraone cattivo (forse è da questo che deriva la notazione negativa della frase ”uomo nero”?) e li guidava nel deserto per 40 anni. Ora certamente neanche una lumaca artritica ci metterebbe tanto ad attraversare il Sinai per entrare nella Terra promessa, figuriamoci gli Ebrei che non vedevano l’ora di arrivarci. Quindi, probabilmente 40 è una cifra simbolica. Infatti, nella religione ebraica i numeri hanno un significato teologico preciso e c’è una scienza teologica che li studia: la Kabbalah (che non è invenzione napoletana). Fatto sta che oggi gli Ebrei festeggiano la festa di Sukkot per ricordare il periodo in cui vissero in capanne di frasche come prescritto da Dio durante l’esodo dall’Egitto. La Torah, il libro sacro dell’Ebraismo ispirato direttamente da Dio, prescrive in quei giorni di legare con della canapa un ramo di palma (lulav), tre rami di mirto (hadas) e due rami di salice ('aravà), e di tenere questo fascio in una mano, mentre nell’altra va tenuto un cedro (etrog).  


Ma non va bene un cedro qualsiasi. Dev’essere un frutto nato da pianta non innestata e non trattata, un frutto assolutamente perfetto, regolare e senza macchie, grande circa quanto un uovo, che conservi traccia dello stilo fiorale e che abbia un peduncolo di una determinata lunghezza. Insomma un frutto speciale che viene venduto a prezzi elevati, in media fra 25 e 150 euro per i frutti normali, fino a superare mille euro per quelli particolarmente perfetti. E questi frutti speciali sono forniti ai Rabbini di tutto il mondo quasi esclusivamente (i marocchini vendono quelli “farlocchi”) da una sola piccola area di produzione: la “Riviera dei Cedri” in Calabria. 


Ma come mai questa tradizionale cultura si è mossa dalle terre d’Israele alle coste italiche calabresi? Effetto della romanizzazione di Israele compiuta dopo la rivolta del 70 e.V. Proprio quella operazione di “pulizia culturale” messa in atto da Roma contro i “ribelli” Ebrei fu la molla che portò alla diffusione del Cristianesimo in tutto l’Impero Romano, fino alla sua assunzione quale religione statale da parte dell’Imperatore Costantino.

Insomma, oggi ci meravigliamo se vediamo apparire sui banchi dei mercatini rionali una radice di yam o i frutti dell’okra. Lo facciamo solo perché abbiamo dimenticato che le piante da millenni vengono spostate dai popoli. E non solo come fonte di cibo, ma anche per usarle nel tentare una comunione spirituale con le forze misteriose che tutto possono, ovvero assolvere all’innato bisogno di Infinito che vive in tutti noi e che, se troppo coltivato, spesso ci spinge a comportamenti estremi e irrazionali.


Crediti per le immagini (nell'ordine)

"Poster for Mutiny on the Bounty" di Reynold Brown - Brown, Franz. Mutiny on the Bounty. This image was posted at the website operated by Reynold Brown's son, Franz Brown. The webpage offers a detailed discussion of Reynold Brown's poster art for Mutiny on the Bounty.. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons - 

"Oman Dhofar Frankincense" di Eckhard Pecher - Opera propria. Con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons 

"Spain Santiago de Compostela - botafumeiro" by User:Merlin - Own work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons – 

"Flickr - Government Press Office (GPO) - P.M. Benjamin Netanyahu" by http://www.flickr.com/people/69061470@N05 - http://www.flickr.com/photos/government_press_office/8019493021/. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons 

"Etrog diagram" di CitricAsset - Opera propria. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons –







Radice di luce” la chiamava Rudolf Steiner, l'unico vegetale del pianeta con la capacità di raccogliere e conservare la luce eterica, quella luce di cui il nostro organismo ha bisogno per conservarsi in perfetta salute. Ma Rudolf Joseph Lorenz Steiner (1861- 1925) non era né un agronomo, né un medico, né tanto meno un nutrizionista: era un filosofo, il fondatore della “Antroposofia”. Steiner è un personaggio piuttosto discusso, con alcuni appassionati estimatori e seguaci delle sue teorie e altrettanti, e altrettanto entusiasmati, detrattori. E in un blog destinato alla agro-biodiversità non parleremmo di Steiner se non fosse per la “radice di luce” ovvero la Dioscorea batatas da lui denominata “lichtyam” parola con la quale è conosciuta dai suoi ammiratori.
La Dioscorea batatas, detta anche “Igname della Cina”, fu descritta per la prima volta dal botanico Joseph Decaisne (1807-1882). Pianta originaria della Cina, da cui il nome, è una pianta oggi coltivata soprattutto per le sue proprietà medicinali, in quanto ricca di una serie di principi biologicamente attivi, fra cui alcune saponine steroidee (dioscina e diosgenina) e il  DHEA (diidroepiandrosterone), tutte sostanze coinvolte nella sintesi di ormoni sessuali. Infatti, gli estratti di questa pianta sono spesso utilizzati in caso di dismenorrea o per alleviare i sintomi della menopausa.
La cosa ancora più interessate, però, è che questa pianta ha una serie di “cugine” che sono alla base dell’alimentazione di interi popoli. Durante l’evento #MercatiErranti sono girati in rete filmati e foto che ritraggono lo Yam, un tubero apprezzato moltissimo in Africa subsahariana e coltivato anche in Italia per soddisfare la richiesta di migliaia di immigrati che associano quel cibo alla loro terra d’origine. La cosa non mi meraviglia affatto: mio zio Peppino, emigrato negli USA nel lontano 1932, aveva come simbolo identitario della sua origine italiana le piante di “vasilicoje”, il basilico, che coltivava al posto dei fiori nel backyard della sua casa di Queens.
Tornando allo Yam, in realtà parliamo non di una sola specie, ma di una serie di piante far loro strettamente imparentate, tutte chiamate yam o igname. Una curiosità: pare che la parola igname derivi dalla corruzione della parola wolof (lingua senegalese) “niam” che significa “assaggia” o “mangia”. Già immagino il marinaio portoghese che chiede al longilineo wolof “Come si chiama?” e quello che risponde “Mangia!” ma in realtà pensa “che glie ne importa a quest’uomo dal colorito tanto malaticcio”.
In Africa le specie più diffuse sono la Dioscorea rotundata o yam bianco, la più diffusa oggi anche in Italia, e la D. cayenensis o yam giallo. Oltre a queste una decina di specie asiatiche e americane oltre che africane. Tutte per essere mangiate debbono essere trattate per eliminare le saponine. Si proprio le saponine che hanno proprietà curative, ma che se ingerite a dosi elevate e di continuo sono tossiche per l’organismo. Anche noi italiani abbiamo nella tradizione alimentare una pianta che se mangiata troppo spesso e in quantità elevate è tossica: il Lathyrus sativus, la “Cicerchia”, che accumula nei semi una peptide neurotossico, per cui se ne consiglia l’uso saltuario. Insomma, ogni mondo è paese e ogni cibo è potenzialmente tossico, si abusato (… nel senso latino del termine).
Lo yam, indipendentemente dalla specie, è la radice molto carnosa della pianta. Per utilizzarla, viene in genere grattugiata o tagliata in piccoli pezzi e lasciata in acqua per rimuovere le saponine. In ogni caso anche la cottura contribuisce a ridurne la tossicità. Il più noto modo per gustarla è il Foofoo o Foutou, una specie di polenta molto densa di yam: con le dita se ne stacca un pezzetto formando una piccola pallina che poi viene intinta in varie salse prima di essere gustata.


In genere le piante di Dioscorea hanno un’ottima capacità di resistere alla siccità e sono delle ottime utilizzatrici della risorsa acqua. Peccato che siano anche piante termofile, e che per crescere abbiano bisogno di almeno 20°C. Pensandoci bene, però, potrebbero essere una risorsa in alcune aree d’Italia dove le precipitazioni stanno drasticamente diminuendo e le temperature aumentando, come il sud della Sicilia o della Puglia, il decantato Salento. Questa parola, Salento, evoca il sole, il mare, il vento (lu sole, lu mare, lu jentu) ma anche alcuni prodotti della terra come i capperi o la “erva ti mare” o “critimi”, il Crithmum maritimum i cui rametti sotto aceto sono IL sapore del Salento. Allora potremmo proporre il Salento come terra della Dioscorea? Forese sì; e un napoletano allora potrebbe dire “Yam Salento, yam!”


Credits:
Foto utilizzate sotto licenza Wikimedia Commons
1) Yams at Brixton market. Taken by C Ford March 04.
2) Foutou igname accompagné de sauce arachide. Autore: Aboukam


(1) Luffa acutangola
Mercoledì 7 ottobre, EXPO Milano, Padiglione UE. Siamo qui per il convegno "@PiantePopoli Portare con sé la biodiversità: piante e popoli che si muovono” organizzato dal CNR. Live-twitting con l’hashtag #MercatiErranti. Alle 14.30 fischio d’inizio con le prime presentazioni degli oratori. E parte il Twitting!

Comincia un fitto intreccio di messaggi con un picco di 300 post nell’arco di tre ore, circa 2 post al minuto. E tante immagini dai mercati rionali di Roma, Palermo, Firenze, Padova, ma anche da luoghi che apparentemente non sono mercati, come la banchina peschereccia del porto di Trani.
Una valanga di immagini su twitter e alcuni filmati in sala mostrano frutta, verdura, carne, pesce, street food, insomma l’intensa e colorata vita dei mercati nella loro accezione più ampia.  Nonostante il mio occhio, quello buono, debba dividersi tra lo schermo del pc e il monitor delle presentazioni, qualche immagine cattura la mia attenzione come farebbe un frenetico pesciolino per un luccio affamato. 
Ne ho girati di mercati e campagne, ma queste sono immagini di piante inusuali sul territorio italiano e mi fanno scattare l’interruttore cerebrale della curiosità sfrenata.

La prima immagine che mi abbaglia è presente nel filmato girato al Mercato Esquilino di Roma da Amate l’Architettura in cui si intervista Ylang. Lui ci racconta che questa zucca è imparentata con le zucche siciliane e i semi arrivano direttamente dalla Cina per essere coltivati a Roma e Aprilia.



Ma le “zucche siciliane” cui fa riferimento Ylang in genere sono Lagenaria siceraria, che nella sua forma allungata, la varietà longissima, viene consumata immatura esattamente come le zucchine.

(2) Lagenaria siceraria
Ma! La Lagenaria non è costoluta.
Di cosa si tratta allora?

Quasi certamente sono delle Cucurbitaceae, la grande famiglia delle zucche, dei cocomeri, dei cetrioli e dei meloni, ma anche dei “caroselli e barattieri” pugliesi. Questi ultimi sono il fossile vivente della prima domesticazione del melone (Cucumis melo), quando il frutto immaturo era consumato come un vegetale, prima che fosse domesticata la tipologia dolce che conosciamo oggi. Domesticazione avvenuta probabilmente in epoca Romana e presumibilmente per introduzione dall’Oriente. In Puglia sono usati al posto dei cetrioli, ma di tutte le forme possibili, nessuna è costoluta. E il mistero s’infittisce.

(3) Caroselli e barattieri pugliesi
Poi, Giulio Pascali posta un’immagine (foto 1) della stessa specie e anche i colleghi di Palermo di @vite2vino la scovano nel mercato di Ballarò.


(4) Mercato Ballarò, Palermo

Potrebbe trattarsi di Trichosanthes cucumerina la cosiddetta zucca serpente? Una specie dai fiori “capelloni”, da cui il nome che significa letteralmente “fiore coi capelli”, ma questa è una pianta tropicale e quasi sconosciuta in Cina.

(5) Trichosanthes cucumerina, zucca serpente
Poi il mio amico Karl, ottimo botanico, lancia un suggerimento: potrebbe essere una Luffa. Chi di noi frequenta le erboristerie o i negozi naturistico-salutistico-cosmetici conosce la “spugna vegetale”, ovvero, quella spugna ottenuta facendo disfare le parti molli di una zucca, appunto, la Luffa cylindrica. La nostra zucca cinese è una sua cugina abbastanza stretta: la Luffa acutangula.
Originaria dell’Asia è alquanto coltivata in Cina e raccolta immatura per essere usata come un vegetale fresco. Se passa di maturazione, la sua struttura diventa più fibrosa, come nella sua parente usata come spugna.
Pare che sia uno degli ingredienti delle ricette vegane, oltre che un cibo a la page usato al posto delle comuni e un poco villane (nel senso latino) zucchine. Insomma, una sorta di zucchina radical chic! La pianta è anche usata a scopo medicinale nei territori d’origine: un decotto delle sue fibre è usato per prevenire i raffreddori, curare le sinusiti e per alleviare i dolori muscolari e dell’artrite.

Crediti:
Immagine di apertura
"Luffa acutangula, Chinese vegetable in a market in Haikou City, Hainan Province, China."
By Anna Frodesiak (Own work) [CC0], via Wikimedia Commons


Partecipa a #MercatiErranti
il 7 ottobre dalle 14.30 alle 17.30
twitta una foto del tuo mercato preferito a

Fondaco dei Turchi a Venezia, Apollonio Domenichini
Il 7 ottobre dalle 14.30 alle 17.30 durante la conferenza Portare con sé la biodiversità: piante e popoli che si muovono, coordinata da Giuseppe G. Vendramin (IBBR) e Sveva Avveduto (IRPPS) e moderata dalla giornalista scientifica Barbara Gallavotti, si svolgerà su twitter @cnrxexpo e @PiantePopoli il Live tweeting #MercatiErranti luogo di incontro tra cultura, architettura e cibo. 

Si tratta di un "esperimento" senza precendi nel Consiglio Nazionale delle Ricerche, che il 17 aprile scorso ha inaugurato la strategia di comunicazione sui Social Media degli eventi CNRxEXPO affidando a twitter e al Blog CNR Expo Lab il ruolo fondamentale nella promozione degli eventi scientifici in Rete.

Seguono e moderano gli interventi del live tweeting: Domenico Pignone, Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBBR, CNR) e Mariavittoria Ponzanelli, Digital and Media PR.

Il Live tweeting è organizzato dal Blog CNR Expo Lab “inviato speciale” nei retroscena degli eventi del CNR a Expo, l'Associazione culturale Stella Errante, il Movimento Amate l'Architettura con la collaborazione di Giovani Confagricoltura – ANGA, la Classe 3ª D della Scuola Media Dante Alighieri di Meldola, @Romaapiedi, l'Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBBR, CNR), l'Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria (IBBA, CNR), l'Istituto di Biometeorologia (IBIMET, CNR) e Il Mercato Centrale di Firenze.


"Amate l’Architettura dedicherà i suoi contributi per evidenziare come i mercati agroalimentari contribuiscano a “NUTRIRE” le città oltre che da un punto di vista fisico anche da quello prettamente culturale, in quanto luoghi di aggregazione sociale e di incontro.
Partendo dal titolo, “NUTRIRE” preso in prestito da quello dell’EXPO, già rilanciato in occasione della nostra ultima azione con Carte in Regola, cercheremo di fornire una serie di spunti estremamente concreti ma al tempo stesso fortemente “visionari” di come i mercati agroalimentari contribuiscano ad estendere il significato del verbo “NUTRIRE”, che in un’accezione più ampia include la “nutrizione culturale e sociale”, con le quali le attività commerciali devono assolutamente integrarsi e convivere, se vogliamo salvare la funzione importante del mercato rionale e/o cosiddetto di “quartiere”.
E questo deve avvenire attraverso le trasformazioni sia fisiche (quindi architettoniche ed urbanistiche), che di ampliamento e di coinvolgimento di altre attività (ludiche, sociali, culturali, artigianali), affinché i mercati agroalimentari italiani possano continuare ad essere luoghi di preservazione e diffusione nel tempo delle culture e delle abitudini alimentari”.
Al fine di rappresentare casi in cui questa funzione complessiva del “mercato” inteso come luogo di acquisizione di beni ma anche di interscambio tra culture differenti, assolutamente in sintonia con il tema del convegno “su popoli e piante che si muovono”, si è pensato a tre luoghi che possiamo definire “storici” della città di Roma da dove inviare i nostri contributi. Tre Mercati che, pur con caratteristiche diverse, con un diverso sviluppo nel corso delle loro storia e con le ovvie differenze tipiche di altre localizzazioni geografiche, hanno tutti i requisiti per rappresentare e soprattutto testimoniare in modo paradigmatico la validità della tesi qui sopra sostenuta.
I mercati scelti sono a Roma e sono il Nuovo mercato Esquilino - Ex-Piazza Vittorio, il Mercato Metronio e quello di Campo dei fiori."

Vi aspettiamo con #MercatiErranti il 7 ottobre!


Il 7 ottobre dalle 14.30 alle 17.30 si svolgerà nella sede del Padiglione Unione Europea la conferenza Portare con sé la biodiversità: piante e popoli che si muovono

Coordinatori: Giuseppe G. Vendramin (IBBR) e Sveva Avveduto (IRPPS)
Modera: Barbara Gallavotti, giornalista scientifica

Le piante si muovono, si sono sempre mosse dalle ere glaciali in poi: come fanno?  
Dove vanno? Possiamo prevedere e governare lo spostamento delle piante in relazione ai cambiamenti climatici? I popoli che si spostano portano con sé la loro cultura ma anche le loro piante e i loro cibi: come cambiano gli equilibri bio-culturali? Possiamo sovrascrivere le mappe della migrazione umana con quelle delle piante? Le migrazioni umane spostano gli equilibri del pianeta? Producono nuove realtà anche dal punto di vista bio-vegetale oltre che culturale? E infine, un orto nello spazio: coltiviamo il nostro cibo sulle Stazioni Spaziali, come lo faremo sui pianeti che colonizzeremo? Cibo e cultura: la pizza su Marte. Porteremo nello spazio i nostri nuovi equilibri bio-vegetali? Ci sarà una nuova cultura alimentare spaziale?

Lo studio dei fossili vegetali (polline, legni, frutti) consente di ricostruire cambiamenti di vegetazione a scale di tempo di migliaia di anni, che eccedono di gran lunga l’osservazione a vita d’uomo. Alla fine dell’ultimo periodo glaciale le popolazioni di faggio in Europa si sono diffuse a partire da ristrette “aree di rifugio” fino ad occupare l’areale attuale. I dati fossili consentono di definire tempi, modalità e meccanismi di questi imponenti fenomeni di ridistribuzione della copertura forestale. Si tratta di eventi naturali di grande rilevanza, che possono costituire la misura di possibili cambiamenti ambientali in risposta ai cambiamenti climatici in atto.  
Donatella Magri, Sapienza Università di Roma
Come "migrano" gli alberi? Esempi dal passato

Una strategia per far fronte ai cambiamenti climatici è rappresentata dalla migrazione, come la colonizzazione di nuovi territori climaticamente più favorevoli. La velocità con cui questo processo avviene assume grande importanza in un contesto di cambiamenti climatici repentini, come quelli attuali. Nuovi metodi permettono di monitorare questo processo e di comprenderne la sua efficacia come strategia di sopravvivenza.  
Giuseppe G. Vendramin, IBBR - CNR
Cambiamenti climatici: la migrazione come strategia di sopravvivenza degli alberi

La salvaguardia dell’agrobiodiversità è un tema sempre più attuale, al quale il CNRxEXPO ha dedicato un convegno: Un mondo (bio)-diverso: l'agrobiodiversità in un mondo che cambia.
Lo stato dell’arte su questo argomento sarà analizzato nel corso della conferenza del 7 ottobre, insieme alla ‘sindrome da domesticazione’ caratterizzante le principali specie vegetali di interesse agrario, affrontando il tema dei vantaggi della conservazione a lungo termine delle risorse genetiche vegetali, efficace contro l'estinzione delle piante e per favorire il loro uso sostenibile. 
Gaetano Laghetti, Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBBR, CNR)
Agrobiodiversità vegetale e sindrome da domesticazione

I popoli si spostano portando con sé la loro cultura ma anche le loro piante e i loro cibi modificando gli equilibri bio-culturali. Questo avviene perché nel suo migrare l'uomo tende a riprodurre il proprio habitat di partenza e quindi semi e piante viaggiano con lui per diventare cibo per riprodurre usi e cultura, che inevitabilmente si modificano mescolandosi a quelli di destinazione generando nuovi cibi e nuova cultura. Così le migrazioni umane determinano nuove realtà dal punto di vista economico e socio-culturale ma anche bio-vegetale. I percorsi di piante e popoli si intrecciano e sono spesso paralleli dato che lo spostamento degli uomini porta sempre con sé quello delle piante. L’analisi sociale culturale e demografica si interseca quindi, e spesso si sovrappone, a quella bio-vegetale.
Sveva Avveduto, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (IRPPS, CNR)
Sovrascrivere le mappe degli spostamenti di popoli e piante


Quali spinte hanno determinato una vera e propria geografia del cibo? Il cibo è un elemento culturalmente definito: quel che le persone mangiano e la varietà degli alimenti consumati dipende dalla produzione di cibo, dal sistema economico, ma anche da quello culturale e dalle abitudini diffuse. In contesti sociali plurali e multi-culturali il cibo è sempre di più veicolo di conservazione, di innovazione, di contaminazione e incontro. Al contempo, è una lente di lettura delle dinamiche di coesione e intercultura che caratterizzano le nostre società e in particolare le nostre città. 
Maria Chiara Giorda, storica, Università di Milano Bicocca
Una geografia culturale dell’alimentazione

L'uomo ha sviluppato tecniche per addomesticare l'ambiente al suo intorno e per governarlo.
Ha elaborato concetti, coniato parole per denominarlo, per addomesticarlo. Tra questi la parola paesaggio che è un grande contenitore di cose, uomini e idee inizialmente legato al tema della rappresentazione pittorica. Dopo Humboldt il paesaggio è uscito dalla pura dimensione visiva per entrare sotto l'osservazione scientifica. Se un tempo i paesaggi erano oggetto di rappresentazione oggi sono diventati oggetto di una riproducibilità tecnica. Alle scatole del puzzle per costruire immagini poetiche si affiancano oggi scatole contenenti gli elementi per costruire paesaggi a pronto effetto.
Fabio Fornasari, architetto
Paesaggio: un mito a pronto effetto

La terra oggi ha oltre 7 miliardi di abitanti, secondo le proiezioni è destinata a crescere. Per questo, o per semplice desiderio di aprire nuovi confini, molti aspettano il momento in cui gli esseri umani potranno avere degli insediamenti nello Spazio;  può lo spazio rappresentare la frontiera ultima della cultura gastronomica?
Franco Malerba, Primo astronauta italiano
Lo spazio ultimafrontiera della migrazione alimentare e delle piante

Nel corso dell'incontro si svolgerà in Live tweeting geolocalizzato presso alcuni dei principali mercati rionali italiani: #MercatiErranti luogo di incontro tra cultura, architettura e cibo.
Coordinato e moderato da Domenico Pignone, Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBBR, CNR) e Mariavittoria Ponzanelli, Digital PR. 
Evento a cura di: CNR Expo Lab il Blog "inviato speciale" nei retroscena degli eventi del CNR a Expo, Associazione Stella Errante, Movimento Amate L'Architettura con la collaborazione di Giovani Confagricoltura - ANGA, la classe 3 D della Scuola Media Dante Alighieri di Meldola, Il Mercato Centrale di Firenze, Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria (IBBA - CNR).

Seguici su twitter: @PiantePopoli
Hashtag: #MercatiErranti