“Radice di luce”
la chiamava Rudolf Steiner, l'unico vegetale del pianeta con la capacità di
raccogliere e conservare la luce eterica, quella luce di cui il nostro
organismo ha bisogno per conservarsi in perfetta salute. Ma Rudolf Joseph
Lorenz Steiner (1861- 1925) non era né un agronomo, né un medico, né tanto meno
un nutrizionista: era un filosofo, il fondatore della “Antroposofia”. Steiner è
un personaggio piuttosto discusso, con alcuni appassionati estimatori e seguaci
delle sue teorie e altrettanti, e altrettanto entusiasmati, detrattori. E in un
blog destinato alla agro-biodiversità non parleremmo di Steiner se non fosse
per la “radice di luce” ovvero la Dioscorea
batatas da lui denominata “lichtyam” parola con la quale è conosciuta dai
suoi ammiratori.
La Dioscorea batatas,
detta anche “Igname della Cina”, fu descritta per la prima volta dal botanico Joseph
Decaisne (1807-1882). Pianta originaria della Cina, da cui il nome, è una
pianta oggi coltivata soprattutto per le sue proprietà medicinali, in quanto
ricca di una serie di principi biologicamente attivi, fra cui alcune saponine
steroidee (dioscina e diosgenina) e il DHEA (diidroepiandrosterone), tutte sostanze
coinvolte nella sintesi di ormoni sessuali. Infatti, gli estratti di questa
pianta sono spesso utilizzati in caso di dismenorrea o per alleviare i sintomi
della menopausa.
La cosa ancora più interessate, però, è che questa pianta ha
una serie di “cugine” che sono alla base dell’alimentazione di interi popoli.
Durante l’evento #MercatiErranti sono girati in rete filmati e foto che
ritraggono lo Yam, un tubero apprezzato moltissimo in Africa subsahariana e
coltivato anche in Italia per soddisfare la richiesta di migliaia di immigrati
che associano quel cibo alla loro terra d’origine. La cosa non mi meraviglia
affatto: mio zio Peppino, emigrato negli USA nel lontano 1932, aveva come
simbolo identitario della sua origine italiana le piante di “vasilicoje”, il basilico, che coltivava
al posto dei fiori nel backyard della sua casa di Queens.
Tornando allo Yam, in realtà parliamo non di una sola
specie, ma di una serie di piante far loro strettamente imparentate, tutte
chiamate yam o igname. Una curiosità: pare che la parola igname derivi dalla
corruzione della parola wolof (lingua senegalese) “niam” che significa “assaggia” o “mangia”. Già immagino il marinaio
portoghese che chiede al longilineo wolof “Come
si chiama?” e quello che risponde “Mangia!”
ma in realtà pensa “che glie ne importa a quest’uomo dal colorito tanto
malaticcio”.
In Africa le specie più diffuse sono la Dioscorea rotundata o yam bianco, la più diffusa oggi anche in
Italia, e la D. cayenensis o yam
giallo. Oltre a queste una decina di specie asiatiche e americane oltre che
africane. Tutte per essere mangiate debbono essere trattate per eliminare le
saponine. Si proprio le saponine che hanno proprietà curative, ma che se
ingerite a dosi elevate e di continuo sono tossiche per l’organismo. Anche noi
italiani abbiamo nella tradizione alimentare una pianta che se mangiata troppo
spesso e in quantità elevate è tossica: il Lathyrus
sativus, la “Cicerchia”, che accumula nei semi una peptide neurotossico,
per cui se ne consiglia l’uso saltuario. Insomma, ogni mondo è paese e ogni
cibo è potenzialmente tossico, si abusato (… nel senso latino del termine).
Lo yam, indipendentemente dalla specie, è la radice molto
carnosa della pianta. Per utilizzarla, viene in genere grattugiata o tagliata
in piccoli pezzi e lasciata in acqua per rimuovere le saponine. In ogni caso
anche la cottura contribuisce a ridurne la tossicità. Il più noto modo per
gustarla è il Foofoo o Foutou, una specie di polenta molto
densa di yam: con le dita se ne stacca un pezzetto formando una piccola pallina
che poi viene intinta in varie salse prima di essere gustata.
In genere le piante di Dioscorea
hanno un’ottima capacità di resistere alla siccità e sono delle ottime
utilizzatrici della risorsa acqua. Peccato che siano anche piante termofile, e
che per crescere abbiano bisogno di almeno 20°C. Pensandoci bene, però,
potrebbero essere una risorsa in alcune aree d’Italia dove le precipitazioni
stanno drasticamente diminuendo e le temperature aumentando, come il sud della
Sicilia o della Puglia, il decantato Salento. Questa parola, Salento, evoca il
sole, il mare, il vento (lu sole, lu
mare, lu jentu) ma anche alcuni prodotti della terra come i capperi o la “erva ti mare” o “critimi”, il Crithmum
maritimum i cui rametti sotto aceto sono IL sapore del Salento. Allora potremmo proporre il Salento come
terra della Dioscorea? Forese sì; e
un napoletano allora potrebbe dire “Yam
Salento, yam!”
Credits:
Foto utilizzate sotto licenza Wikimedia Commons
1) Yams at Brixton market. Taken by C Ford March 04.
2) Foutou igname accompagné de sauce arachide. Autore:
Aboukam
0 commenti:
Posta un commento