Il 6 maggio 2015, nell’Auditorium di Cascina Triulza in Expo Milano
2015,
si è tenuta una giornata di discussioni sul tema “Un mondo (bio)-diverso: l’agrobiodiversità
in un mondo che cambia” organizzata in collaborazione con la Cooperazione
Italiana (per il programma http://cnrexpolab.blogspot.it/2015/04/un-mondo-biodiverso.html). Cosa è emerso da questa giornata? Iniziamo da alcune considerazioni,
e altre seguiranno.
Abituati come siamo a vivere in
paesaggi urbani, stentiamo a comprendere come la storia dell’uomo, la nostra
storia, sia intimamente legata a una scoperta dei nostri antenati di 13000 anni
fa: l’agricoltura. Senza agricoltura l’uomo sarebbe ancora nomade, non ci
sarebbero le città in cui viviamo né le meraviglie del passato, non ci
sarebbero i capolavori di Virgilio, Kavafis o Gibran, e l’arte sarebbe ancora
ferma ai dipinti della grotta di Altamira. I nostri antenati, attraverso un
processo chiamato domesticazione, hanno modificato empiricamente le piante
selvatiche per adattarle all’agricoltura, al punto che le specie agrarie di
oggi non somigliano molto ai loro progenitori selvatici. Nel corso dei 13000
anni che ci separano da quei primi esperimenti, l’uomo ha creato decine di
specie agrarie e centinaia di varietà per ogni specie, una grande biodiversità
che si esprime attraverso forme, colori, sapori e conoscenze. Si, le conoscenze
tradizionali legate a ogni varietà riguardano non solo il loro uso, ma anche credenze,
leggende e misteri associati a quella specie, a quella varietà.
La “rivoluzione verde”
sviluppatasi secondo i principi di agricoltura di Norman Borlaugh, per questo
premio Nobel per la Pace, ha da un lato consentito a una più grande proporzione
della popolazione mondiale di raggiungere la sufficienza alimentare, ma
dall’altro ha messo a forte rischio la biodiversità delle piante coltivate.
Oggi, questa agrobiodiversità può essere la risorsa da utilizzare per
rispondere alle esigenze di un mondo in continuo cambiamento, di un pianeta
mutante. Ci sono molti parametri per misurare il cambiamento del mondo,
parametri fisici e ambientali, parametri biologici, dinamiche di popolazione, e
parametri sociali ed economici. Se fossimo un extraterrestre che studia il
nostro mondo attraverso una sorta di time-lapse, vedremmo come il maggior
benessere economico di un Paese ne cambia radicalmente i consumi, percepiremmo
come a seguito dei cambiamenti climatici popolazioni umane e di piante si
spostino e con esse, o prima di loro, anche i parassiti e le malattie delle
piante ad esse associati, potremmo apprezzare come il mutamento economico e
l’uso intensivo delle risorse riesca a cambiare il volto di un territorio. In
conseguenza di questi cambiamenti anche l’agrobiodiversità cambia, e non sempre
solo in senso negativo.
Nel corso del convegno abbiamo
voluto analizzare i maggiori fattori che influenzano il cambiamento
dell’agrobiodiversità e anche quali modelli, quali esperienze, sono stati messi
in campo per tentare di mitigare gli effetti negativi del cambiamento del
nostro mondo. Per esempio, in Brasile si è dato vita a un piano nazionale che è
volto a portare nell’alimentazione scolastica almeno un 30% di prodotti locali,
sviluppando al tempo stesso un percorso formativo che faccia comprendere il
valore del mantenimento e dell’uso sostenibile della biodiversità per garantire
benessere economico, nutrizione corretta e salvaguardia di un patrimonio
immateriale legato alla biodiversità locale. Un atro driver importante sé il
cambiamento climatico globale che però è particolarmente intenso in alcune aree
del mondo, e il Mediterraneo è una di queste. Gli scienziati hanno potuto
dimostrare come in queste aree, chiamate hot spot, si assista anche a un’intensificazione
del cambiamento della biodiversità naturale, soprattutto in termini di
parassiti e patogeni delle piante coltivate. Le recenti notizie sulla diffusione
di avversità delle piante, come il caso della mosca olearia o della epidemia
della Xylella fastidiosa, danno piena
evidenza scientifica a questa visione del fenomeno. La proposta è di cercare di
arginare questi cambiamenti in maniera olistica mettendo al centro dell’azione
la protezione degli ecosistemi.
Ci sono poi fattori economici e
politici che influenzano l’agrobiodiversità. Questo fenomeno è particolarmente
evidente per i prodotti agricoli di larghissimo consumo, come i cereali. Questi
ultimi sono divenuti delle vere e proprie commodity, non diverse dal petrolio,
e dai minerali, con tanto di quotazione in borsa e future. Su questi in particolare hanno influenza le politiche
globali o locali, per esempio le azioni volte a favorire un propizio regime di
prezzi dei prodotti attraverso politiche di incentivazione o di limitazione
delle produzioni, o altre politiche rivolte alla regolamentazione o sostegno
dei sistemi agrari dove la produzione si svolge. Un po’ nata per rispondere
all’esigenza di recuperare un rapporto con l’ambiente rurale, che
l’urbanizzazione spinta ha fatto quasi del tutto scomparire, un po’ per il
desiderio di avere una produzione locale, a chilometro zero come va di moda
dire, un po’ anche per ragioni ideologiche nasce l’agricoltura urbana, ossia
quella che si sviluppa in quelle aree del territorio urbano che non sono state
ancora cementificate. Questo movimento, originato da esperienze e esigenze
molto differenti tra loro, sta trovando oggi un sincretismo e una promozione anche
attraverso specifici progetti volti a recuperare, attraverso la reintroduzione
dell’agrobiodiversità, specifiche aree del territorio urbano particolarmente
ricche di tradizione o di storia, prima che l’urbanizzazione ne cancelli
definitivamente l’identità.
Da questa analisi dei fattori che
gravano sulla biodiversità emerge che il più determinate è certamente l’uomo. Infatti,
le preferenze dei consumatori sono il primo driver della commercializzazione e
quindi della decisione su cosa mantenere e valorizzare e cosa abbandonare. Ma
non si può lasciare tutto alle sole preferenze del consumatore, poiché le sue
scelte non sono sempre accompagnate da un adeguato livello di informazione. Oltre
a tutto, le scelte dei consumatori impattano anche sul benessere degli
imprenditori agrari, siano essi agricoltori o allevatori. Questi, infatti, sono
in continuo bilico fra le pressioni del mercato, le esigenze etiche, le scelte
politiche, le regolamentazioni locali, nazionali o sovranazionali e la
necessità di trarre un giusto reddito dalle loro produzioni. A volte, le
pressioni sui prezzi o delle regolamentazioni, gravano al punto tale che il
reddito degli imprenditori è compromesso, tanto da porre un rischio sull’intero
territorio rurale e di conseguenza anche sulla salute dell’ambiente e dei
consumatori stessi.
Occorre quindi analizzare e
informare i consumatori sulla sostenibilità delle diete alimentari, basandosi
su indicatori oggettivi, quali per esempio il consumo di acqua o la produzione
di anidride carbonica, che gravano su un tipo di alimentazione in confronto a
un altro. Insomma, occorre fare attenzione e non lasciarsi affascinare da
modelli dietetici “ideologici” o “di moda”, ma costruire attraverso questi
indicatori un bagaglio di strumenti che ci consentano di orientare
consapevolmente le nostre scelte alimentari. E in questo l’informatica è un
grande aiuto. Sicuramente ci sono modelli dietetici diversi e validi per
differenti strati della popolazione o differenti popoli o religioni. Non
importa quale scelta “dietetica” il consumatore faccia, l’importante è che la
sua dieta sia estremamente ricca di biodiversità. Infatti, ogni specie, ogni
varietà, è in grado di apportare specifici elementi nutritivi che non sono
presenti in maniera altrettanto significativa nelle altre varietà. Quindi, la
chiave del benessere non è solo mangiare quante più specie differenti, ma per
ciascuna specie non limitarsi a una sola varietà. E questa educazione
dev’essere portata nelle scuole per educare i consumatori di domani, ma
soprattutto, dev’essere sostenuta da adeguate politiche che riportino
l’agrobiodiversità al centro dell’attenzione dei decisori politici.
Un mondo che cambia, come quello
in cui viviamo, sarà certamente in futuro un mondo diverso. Dobbiamo augurarci
che sia anche bio-diverso.
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