L’agricoltura si basa sulla domesticazione, un processo genetico che generazione dopo generazione modifica le piante selvatiche per renderle simili a quelle che coltiviamo oggi. Questa nuova tecnologia (in effetti la prima biotecnologia in assoluto) compare indipendentemente nell'arco di 2-3000 anni in poche zone del mondo: la Mesopotamia, la valle dello Yang Tze, il Messico, la regione andina, ecc. Ciascuna specie, quindi, viene domesticata in quello che chiamiamo un centro di origine, di cui ne sono stati identificati una decina, e di qui si diffonde seguendo le migrazioni delle popolazioni umane.
Con lo sviluppo delle grandi civiltà Mediterranee le piante si muovono indipendentemente dalle migrazioni, ma seguono le rotte dei commerci. I Romani, ad esempio, introducono la pesca nel Mediterraneo, gli Arabi mettono in comunicazione oriente e Mediterraneo introducendo ad esempio le melanzane. Ma la grande “invasione” di nuove specie avviene con la scoperta delle Americhe. Pomodori, peperoni, mais, fagioli, sono solo alcuni degli elementi americani oggi considerati cardini dell’alimentazione mediterranea.
Movimenti commerciali delle piante
Nell’ultimo secolo, però, l’uomo ha imparato non solo a domesticare specie esistenti in natura ma anche a crearne di nuove. Il primo esperimento di successo in tal senso è il Triticale, un incrocio fra frumento e segale che assomma le qualità dei due suoi genitori, un po' come succede col mulo. Su quella stessa strada oggi la ricerca ci propone nuovi interessanti prodotti per rispondere alle necessità del sistema agroalimentare come il Tritordeum, un incrocio fra frumento e orzo di cui si sta solo ora iniziando a comprendere il potenziale.
In 13000 anni uomini e piante hanno strettamente intrecciato i loro destini e si sono modificati reciprocamente, al punto che si può dire che l’agricoltura segna l’inizio di una coevoluzione simbiontica tra uomini e piante.
Di questo di di tanto altro, si parlerà il 6 maggio a Cascina Triulza, nel corso dell'incontro "Un mondo (bio)diverso"
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