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Olivo: l’Odysseo delle piante

by 15:48:00 0 commenti

“Donna, hai detto parole davvero offensive. Chi potrebbe altrove portare quel letto? Arduo sarebbe anche a un esperto dell’arte, se un dio non venga a spostarlo, a metterlo altrove agevolmente”

Con queste parole Odysseo risponde a Penelope che ha invitato l’anziana Euriclea a portare fuori il letto nuziale, affinché l’eroe possa riposare. Infatti, Odysseo sa che il talamo nuziale è stato predisposto sul ceppo ben radicato in terra di un ulivo secolare attorno al quale è stata poi elevata una stanza di pietra e il tutto coperto con un adeguato tetto. Lo sa perché lui ha tagliato quell’olivo rigoglioso e frondoso, lui ha tirato le cinghie che formano il letto, solo lui sa esattamente queste cose. Solo lui e Penelope, che con questo tranello mette alla prova l’identità dello sposo.

L’olivo è una delle piante di più antica domesticazione. Probabilmente fu apprezzato prima come pianta tecnica, per le caratteristiche uniche del suo legno e poi come pianta cosmetica, prima ancora che alimentare. Cosmetica non solo per le donne che usavano l’olio per curare i capelli e il viso, ma anche per gli atleti. I greci gareggiavano nudi ai giochi olimpici, dopo aver unto il corpo per renderlo lucido; gli atleti e i gladiatori romani si ungevano e recuperavano con lo strix quell’umore misto di olio, sudore, polvere e altro che le matrone pagavano “profumatamente” in quanto gli attribuivano (forse non a torto) proprietà afrodisiache.

In realtà l’olivo non è una specie vera nel senso botanico del termine, ma piuttosto una “specie agraria” un cultigen, ossia una pianta che si è evoluta non per forze naturali ma per la selezione operata dall’uomo. Il nome scientifico, Olea europaea, comprende sia le varietà coltivate che le varietà selvatiche. Quella da cui l’olivo deriva è la var. sylvestris, varietà botanica, per altri sottospecie, nota anche come oleastro o olivastro e presente anche in Italia. A questa si associano altre varietà selvatiche fra cui la var. cerasiformis, la var. laperrinei, la var. cuspidata, ecc. Quindi, il nome formale, completo e scientifico dell’olivo è Olea europaea var. europaea. La pianta era pan-mediterranea ma probabilmente quella da cui poi è nato l’olivo veniva, come il grano, l’orzo, i ceci e tante altre piante mediterranee, dal Medio Oriente, da quella Mezzaluna Fertile che ha dato origine alle civiltà Mediterranee.

Pianta amata dal Dio degli Ebrei (che poi è lo stesso di Cristiani e Mussulmani, anche se qualcuno se lo dimentica), il quale per far capire a quel testa dura di Noè che non ce l’ha più su con gli uomini (o meglio solo con la famiglia di Noè, visto che tutti gli altri erano annegati) fa portare dalla colomba un rametto di olivo.

Oggi la pianta è fondamentalmente alimentare, anche se gli usi cosmetici sono ancora molto diffusi. L’olio di oliva ha proprietà nutrizionali e salutistiche eccellenti, anche se una certa “agiografia naturofila” fa sembrare l’olio di oliva ancora più miracoloso dell’acqua di Lourdes. E dopo una fase di anni in cui l’olio di oliva era considerato un retaggio della più retriva civiltà contadina (mentre le persone “civili” si nutrivano di oli di semi vari o di mais) oggi si assiste a decine di iniziative di valorizzazione di questo prodotto. Da elemento essenziale della Dieta Mediterranea, da prodotto di massa in competizione per il basso prezzo coi prodotti Spagnoli e Greci, oggi l’olio di oliva sta subendo una mutazione genetica. Si è scoperto (era ora, direi io) che le diverse varietà di olivo sviluppano oli con caratteristiche diverse e che queste caratteristiche (toh, guarda un po’) sono fortemente influenzate dall’ambiente. Nasce così l’esigenza di avere non solo oli provvisti di DOP ma anche ben distinti in base alla varietà di origine. Nasce e si afferma la cultura degli oli monovarietali, una cultura che si affianca e percorre le stesse tracce della cultura del vino. Insomma, olio e vino, dopo essere stati i “compagni” che hanno caratterizzato l’espansione greca nella Magna Grecia e la cultura della Roma Imperiale, tornano a viaggiare su strade parallele e (come avrebbe detto uno storico senatore Italiano, tifosissimo della Roma) convergenti.

Cosa aspettarci per il domani? Qualcosa di simile all’uvaggio per i vini. Abili assaggiatori d’olio (possiamo chiamarli sommelier?) creeranno seducenti miscele di oli con specifiche origine genetiche e geografiche, battezzate con nomi allusivi e accattivanti, che sprigioneranno segnali olfattivi, visivi e gustativi tali da farci dire con un fare un poco snob: “sull’ovata alla bvace non metto mai un olio di Covatina pvodotto nella Muvgia novd Bavese”. E nasceranno centinaia di “esperti” pronti a decantare le lodi di questo o quell’olio specifico, salvo poi esporsi ai lazzi degli amici goliardi e buontemponi.

Ad “oliora”!

Credits
Front image: Nocellara del Belice in Sicily - Italy. 12 October 2009, photo by Hans Suter
(licenza Creative Commons)

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