Alba o tramonto?
Negli anni che abbiamo davanti, la produzione alimentare
agricola potrebbe dover affrontare una potenziale crisi a causa della
convergenza di diversi elementi che possono essere ricondotti a tre principali fattori
scatenanti: i cambiamenti climatici, il commercio internazionale e le migrazioni
umane.
Il cambiamento climatico è di certo la componente più nota
al grande pubblico. Questa dizione in realtà indica un complesso di elementi
che include quelli fisici, come l’aumento delle temperature medie, inverni progressivamente
più caldi, un più basso livello di precipitazioni, il cambiamento nel regime
delle precipitazioni, ecc., e elementi biologici, tra cui, la diffusione di
nuovi parassiti e agenti patogeni, nonché di malerbe, la mancanza di
adattamento delle culture tradizionali alle nuove condizioni ambientali, i
cambiamenti nel ciclo di vita degli insetti impollinatori, ecc.
L'impatto dei cambiamenti climatici è particolarmente forte
in alcune regioni del mondo e la regione Mediterranea è una di queste.
L'Italia, per via della sua posizione al centro del bacino del Mediterraneo, è
particolarmente esposta ai cambiamenti climatici. Negli ultimi anni si sono
accumulate crescenti evidenze che anche un solo grado di variazione della
temperatura dell'acqua dei mari che formano il Mediterraneo può influenzare
fortemente il livello e il regime delle precipitazioni nelle principali aree
agricole della penisola.
Il commercio internazionale è un secondo fattore, che è meno
immediatamente evidente a un pubblico non specialista. Infatti, i principali
prodotti agricoli come il mais, il grano o il riso sono diventati vere e proprie
materie prime e scambiati con le stesse regole del commercio di ferro o petrolio.
Questo genera un grave problema sull’andamento dei prezzi delle principali
fonti di cibo, e, come la "crisi del 2008" ha dimostrato, può anche
essere in grado di dare origine a cambiamenti sociali radicali. Oltre a
politiche nazionali volte a costituire scorte per contenere le fluttuazioni dei
prezzi delle colture principali, vi è la necessità di adeguare le produzioni,
sia in termini di quantità che di qualità, alla crescente domanda di una
popolazione mondiale in continua espansione e ai cambiamenti nelle abitudini
alimentari delle popolazioni che vivono nelle cosiddette "nuove
economie". Tanto per fare un esempio, 300 milioni di cinesi hanno un
tenore di vita simile a quello dei Paesi europei e conseguentemente, cercano
prodotti della stessa qualità. È come se d’improvviso la popolazione europea
fosse raddoppiata.
Un'altra sfida derivante dal commercio internazionale è il
rischio di diffusione di malattie delle piante e persino la generazione di
pandemie. Un esempio potrebbe essere il caso recente di Xilella fastidiosa che
sta diffondendosi negli oliveti del Sud Italia: questo patogeno da quarantena è
forse stato importato dalle Americhe attraverso le piante ornamentali
asintomatiche. Potremmo dire che questo caso è il paradigma perfetto di questo tipo
di rischio.
Le migrazioni umane, infine, sono raramente percepite come
fattori di cambiamento agricolo, anche se la storia dimostra esattamente il
contrario. La stessa agricoltura si diffuse al mondo attraverso le migrazioni
umane nel neolitico. E con le migrazioni umane non si diffondono solo buone
pratiche, ma anche i semi e la cultura associata a quelle pratiche e quei semi.
Le migrazioni umane massive sono generalmente attivate dalla
povertà o da eventi drammatici come guerre o carestie. Ciò che nei giorni
nostri sta accadendo nel Mediterraneo è solo la reiterazione di ciò che è
accaduto molte volte nel Mare Nostro fin dai tempi preistorici. Un chiaro
esempio di questo “ricorso storico” è la "invasione" pacifica degli
Arbereshe in Italia nel corso del 15 ° secolo sotto la spinta dell’avanzata
degli Ottomani nei Balcani. Il risultato delle attuali migrazioni è la
necessità di mettere a disposizione delle popolazioni che si spostano alimenti
che sono parte della loro tradizione. A titolo di esempio, è ora possibile
trovare in Italia campi in cui si coltivano specie che erano del tutto sconosciute agli
italiani solo dieci anni fa. Dioscorea,
Luffa, Abelmoschus sono nuove specie sempre più facilmente reperibili nei
mercati delle principali città italiane come Firenze, Roma e Palermo dove la
presenza di immigrati è particolarmente forte. L’evento #MercatiErranti,
organizzato dal CNR durante EXPO 2015, lo ha ampiamente dimostrato.
Ai nostri giorni, tutti questi fattori agiscono
simultaneamente nel Mediterraneo. Per questa ragione potremmo dover
nell’immediato futuro affrontare una profonda crisi del sistema di produzione agro-alimentare.
Ma la parola “crisi” ha nelle sue radici etimologiche il seme di “opportunità”.
Se le popolazioni del Mediterraneo saranno in grado di trarre vantaggio da
questo momento, che implica una rottura con il passato, potrebbero sperimentare
una trasformazione simile a quella rivoluzione neolitica che ha cambiato i cacciatori-raccoglitori
in agricoltori e allevatori.
Per trarre il massimo vantaggio da questa opportunità, è
necessario comprendere il potenziale presente nella biodiversità agricola, che
comprende sia la diversità genetica all'interno di una specie che la
diversificazione delle specie. Entrambi questi elementi di agro-biodiversità
costituiscono una grande ricchezza a disposizione per le popolazioni del
Mediterraneo, a condizione che essi siano consapevoli di questa potenzialità.
Per questo motivo è obbligatorio per esplorare e descrivere questa diversità,
mentre allo stesso tempo diffondere la conoscenza che la riguarda a studiosi,
esperti, decisori politici e stakeholder in generale.
Apparentemente questa posizione contrasta con l’opinione
generale che sia la “tradizione” la via da perseguire per contrastare i danni
della modernità. In realtà la tradizione da sola non basta, anche se può essere
la base di partenza per un’innovazione. Innovare non significa dimenticare il
passato, ma partire da quello per fare qualcosa di nuovo. La stessa
Enciclopedia Treccani (www.treccani.it) alla voce “Tradizione” fra le altre cose recita: “L'innovazione si definisce come
'modo nuovo' di fare qualcosa, contrapposto a un 'modo tradizionale'. Innovare
vuol dire uscire dai binari della tradizione, fare qualcosa che risulta imprevedibile
sulla semplice base dell'estrapolazione delle tendenze che si sono verificate
nel passato. L'innovazione presuppone la
tradizione: un'azione, un artefatto, un'idea sono innovativi sempre e
soltanto in relazione a qualcosa di tradizionale; senza tradizione non vi sarebbe neppure innovazione”.
Nessuna contrapposizione, quindi. Non dobbiamo temere
l’innovazione, perché, come dice qualcuno, “La tradizione è un’innovazione che ha avuto successo”.
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